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L‘Intelligenza Artificiale (IA) rappresenta una delle tecnologie più rivoluzionarie del nostro tempo, capace di influenzare profondamente il modo in cui viviamo e lavoriamo.

Ma cosa si intende davvero con questo termine?

L’IA si riferisce a sistemi avanzati, alimentati da algoritmi di machine learning, che simulano capacità umane come apprendimento, pianificazione e creatività.

Un esempio pratico è ChatGPT, un software progettato per generare risposte simili a quelle umane a partire dalle domande degli utenti. Oggi, l’IA si è integrata in molti ambiti della società, incluso il settore medico, dove rivela la sua potenza nell’analisi di grandi quantità di dati, individuando schemi che sfuggono persino all’occhio più esperto.

Tra i molteplici sviluppi tecnologici spiccano i robot sociali, dispositivi autonomi o semi-autonomi che, grazie all’IA, riescono a interagire con le persone in modo naturale e significativo. Questi strumenti, che affronteremo nel dettaglio, stanno rivoluzionando il supporto ai pazienti, in particolare nel campo delle malattie neurodegenerative.

Il Ruolo dell’IA nella Diagnosi Medica

L’università di Stanford, insieme ad un team dell’università di San Francisco (UCSF), ha utilizzato un software chiamato SPOKE che, grazie a questi metodi di apprendimento automatico, ha identificato in più di 5 milioni di cartelle cliniche una serie di sintomi che potrebbe anticipare lo sviluppo della malattia di Alzheimer, anche di 7 anni. 

Tra i diversi fattori predittivi che l’IA ha rilevato, negli uomini sono stati identificati la disfunzione erettile e l’ingrossamento della prostata, mentre per le donne l’osteoporosi. 

Si deve notare che queste condizioni sono indicative, non da considerarsi una causa sicura e accertata della malattia. 

Tecnologia e Qualità della Vita: i Robot Sociali

Sebbene non sia ancora possibile trovare una cura per l’Alzheimer e la demenza, la tecnologia può comunque supportare i pazienti, offrendo soluzioni per alleviare le loro condizioni e migliorare la qualità della vita.

Durante la stesura della mia tesi di laurea magistrale, ho deciso di analizzare il rapporto tra i robot sociali e la malattia di Alzheimer e la demenza. 

Innanzitutto, è importante chiarire cosa siano i robot sociali: si tratta di robot autonomi o semi autonomi, che, grazie all’intelligenza artificiale, sono capaci di interagire e comunicare con gli esseri umani.

Dobbiamo quindi abbondare l’immagine del robot come un dispositivo meccanico e ripetitivo, come afferma Giulio Lunghi, professore di “Media Digitali” all’università di Torino, e lasciare spazio ad un’immagine più variegata e articolata dove, grazie all’intelligenza artificiale, i robot comprendono l’ambiente in cui si trovano e iniziano ad interagire con esso, lasciando spazio a nuovi modi di interazione tra uomo e macchina. 

Il caso PARO

Un esempio di questa interazione è rappresentato da PARO, un robot terapeutico, progettato da Takanori Shibata nel 1993, ma diffuso al pubblico soltanto dal 2004. 

PARO, un robot terapeutico, progettato da Takanori Shibata nel 1993
PARO, un robot terapeutico, progettato da Takanori Shibata nel 1993

Paro ha l’aspetto di una foca peluche, ma grazie ai suoi sensori è in grado di comunicare e di interagire con l’ambiente. Infatti, solo al tocco di una persona riesce a creare un’interazione interattiva e coinvolgente.

La scelta di una foca è stata consapevole, secondo il suo creatore; infatti, l’animale risulterebbe familiare e accogliente verso gli anziani. Inoltre, poiché la foca non è un animale domestico comune, riduce al minimo i confronti diretti tra il comportamento del robot e quello di un animale reale, rendendo l’interazione più fluida e meno incline a evidenziare discrepanze. 

Quando viene accarezzato PARO emette una serie di versi, muove la coda e apre gli occhi, comunicando in questo modo la sua presenza al suo interlocutore. 

È stato progettato per cercare attivamente il contatto visivo, rispondere al tatto, ricordare i volti e apprendere azioni che a sua volta generano una risposta da parte del robot ed è stato introdotto, con grande successo, in Danimarca e in Giappone, come forma di supporto per i pazienti, nelle case di cura, affetti da demenza. 

La dottoressa Hung ha condotto una ricerca per evidenziare i benefici di questo strumento e, soprattutto, per indagare le opinioni dei pazienti.

Sono emersi diversi vantaggi: è stato rilevato che PARO ha un effetto calmante sui pazienti, aiutandoli a tranquillizzarsi in situazioni di rabbia o confusione; che stimola il dialogo, incoraggiando il paziente a interagire senza sentirsi giudicato; e, infine, che aumenta il senso di comunità tra i pazienti stessi.

Un effetto interessante di PARO è stato descritto da Takanori in relazione a un paziente bilingue che, a causa dell’Alzheimer, aveva perso la capacità di comunicare in danese.

“Nel caso delle persone con demenza, una parte del cervello è danneggiata. Lei non riusciva ad accedere al dizionario danese. Ma, quando era con PARO, le parti rimanenti del cervello si attivavano, permettendo al suo sistema linguistico di accedere al dizionario danese.”

Una ricerca tra Resistenze e Opportunità

Prendendo in considerazione questi benefici, ho condotto una ricerca intervistando online sia i familiari di persone affette da Alzheimer o demenza sia il personale medico e paramedico con esperienza lavorativa in questo ambito.

L’unico requisito per far parte del campione era avere esperienza, anche indiretta, con la malattia.

Dai questionari è emerso un certo scetticismo nei confronti dei robot sociali, soprattutto da parte dei familiari. Una delle maggiori resistenze riguardava il timore che questi strumenti potessero sostituire il caregiver umano e che non venissero accettati dai pazienti.

  • La prima preoccupazione riflette la persistenza di pregiudizi e una percezione negativa verso queste tecnologie, probabilmente influenzata da film di fantascienza in cui i robot sono rappresentati come entità apocalittiche e nemiche dell’uomo.
  • La seconda preoccupazione, invece, potrebbe dipendere dal fatto che molti anziani non sono ancora abituati alla tecnologia e potrebbero manifestare diffidenza o timore nei suoi confronti. Inoltre, alcune risposte hanno indicato che i familiari dei pazienti si sentono giudicati dagli altri quando adottano questo tipo di tecnologia, come se l’uso dei robot fosse percepito come una forma di negligenza o riluttanza nel prendersi cura dei propri cari, preferendo quindi delegare l’assistenza a una macchina.

Dalle risposte del personale medico, invece, è emersa una maggiore apertura verso queste tecnologie avanzate. Tuttavia, solo 4 persone su un campione di 26 intervistati avevano utilizzato o visto un social robot o un’intelligenza artificiale applicata all’ambiente medico.

Alla domanda: “Ritieni che i pazienti e i loro familiari accetterebbero l’uso di social robot nelle strutture di cura?”, più del 60% ha risposto in modo positivo. Inoltre, dopo aver letto i benefici relativi a PARO, oltre il 75% si è dichiarato incline a considerare un futuro utilizzo.

Tra i principali ostacoli all’adozione da parte del personale medico emergono i costi elevati di queste tecnologie: un modello di PARO costa infatti più di 6.000 dollari. 

Privacy e Trasparenza

Un’altra problematica significativa riguarda la privacy. Sono stati espressi dubbi su come le informazioni sensibili dei pazienti e del personale medico vengano raccolte, gestite e utilizzate dall’IA. La maggior parte delle persone non ha ancora chiarezza su dove finiranno i dati e su come saranno utilizzati. Questo evidenzia la necessità di protocolli chiari e semplici che aumentino la trasparenza nel processo di raccolta dei dati e garantiscano la tutela dei diritti degli individui.

Oltre alla trasparenza nella gestione dei dati personali, il 76,9% degli intervistati ha dichiarato di aver bisogno di prove gratuite o dimostrazioni, e soprattutto di maggiori evidenze documentate sull’efficacia nei pazienti.

Robot Sociali e Medicina

Conclusioni

Per favorire una maggiore adozione di queste tecnologie da parte dei professionisti sanitari, è essenziale promuovere una maggiore consapevolezza e trasparenza riguardo al loro utilizzo, fornire prove documentate e creare occasioni per dimostrazioni pratiche che possano ridurre paure e pregiudizi.

Infatti, prima di leggere i benefici, l’opinione sui robot sociali era prevalentemente negativa, con il 20% del personale medico incerto sull’utilizzo di un robot per assistere i pazienti. Tuttavia, dopo aver appreso i benefici di PARO, riscontrati dalla dottoressa Hung, solo 3 persone sono rimaste poco propense a utilizzarli.

In conclusione, è necessaria una maggiore familiarizzazione con questi strumenti, affinché si possa trasformare la diffidenza in fiducia. Solo attraverso questa fiducia sarà possibile creare una sinergia tra tecnologia e assistenza umana, integrando questi strumenti nel processo di cura, non come sostituti del personale, ma come un supporto efficace.

Bibliografia

  • Yu, R., & Hui, E. (2015). Use of a therapeutic, socially assistive pet robot (PARO) in improving mood and stimulating social interaction and communication for people with dementia: Study protocol for a randomized controlled trial. JMIR Publications.
  • Vaswani, J. (2021). This Japanese Scientist Created an AI Therapy Robot for Elderly Patients. Hive Life Magazine.
  • Rashid, N. L. A., Leow, Y., Klainin-Yobas, P., Itoh, S., & Wu, V. X. (2023). The effectiveness of a therapeutic robot, ‘Paro’, on behavioural and psychological symptoms, medication use, total sleep time and sociability in older adults with dementia: A systematic review and meta-analysis. International Journal of Nursing Studies.
  • Little, S. (2023). Can cute AI robots help with aging and dementia? UBC study seeks to find out. Global News.
  • Ali, C. (2024). How AI social robots could support people living with dementia and their care providers. University of British Columbia.

Author Details
Laureato in Marketing e Comunicazione Strategica presso l’Università IULM di Milano. Nel mio percorso accademico ho approfondito l’integrazione delle tecnologie avanzate nelle strategie di marketing e comunicazione, culminando nella tesi intitolata “Improving Alzheimer’s patients outcomes: innovative solutions through Artificial Intelligence”, in cui esploro come l’IA possa migliorare la qualità della vita dei pazienti con Alzheimer, favorire l’interazione sociale e supportare i caregiver attraverso soluzioni assistive.
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Laureato in Marketing e Comunicazione Strategica presso l’Università IULM di Milano. Nel mio percorso accademico ho approfondito l’integrazione delle tecnologie avanzate nelle strategie di marketing e comunicazione, culminando nella tesi intitolata “Improving Alzheimer’s patients outcomes: innovative solutions through Artificial Intelligence”, in cui esploro come l’IA possa migliorare la qualità della vita dei pazienti con Alzheimer, favorire l’interazione sociale e supportare i caregiver attraverso soluzioni assistive.
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