In passato il sonno è stato paragonato, da alcuni, a una sorta di morte temporanea in considerazione di un apparente arresto delle funzioni mentali. Per altri esso costituiva, al pari della veglia, una forma particolare di attività mentale e, come Amleto di Shakespeare, molti hanno identificato il sonno nel sogno come l’occasione per sperimentare forme particolari di attività mentale e non come l’arresto temporaneo della vita.

Nel 1900 Freud sviluppò ulteriormente questa concezione. Ne “L’interpretazione dei sogni” avanzò l’ipotesi che il sonno rappresentasse l’unico mezzo per analizzare le motivazioni inconsce. Nel suo libro pubblicato nel 1913, “Le Problème physiologique du sommeil“che influenzò per alcune decadi la ricerca sul sonno, Henri Piéron definì tre caratteristiche del sonno:

  1. è periodicamente necessario;
  2. presenta un ritmo relativamente indipendente dalle condizioni esterne;
  3. è caratterizzato dalla completa interruzione delle funzioni sensoriali e motorie che mettono in relazione il sistema nervoso centrale con l’ambiente circostante;

Oggi sappiamo che la terza proprietà della definizione di Piéron non è esatta: l’isolamento dall’ambiente è lungi dall’essere completo anche negli stadi più profondi del sonno. Gli impulsi sensoriali provenienti dalla periferia riescono a raggiungere le aree corticali perfino durante il sonno e, di converso, i comandi motori corticali raggiungono i motoneuroni alfa del midollo spinale durante particolari fasi del sonno, anche se le efferenze dai motoneuroni vengono attivamente inibite. Il ciclo sonno-veglia è uno dei ritmi organici endogeni che sono sincronizzati con il ciclo giorno-notte. Non esiste un unico orologio biologico che regoli i ritmi circadiani dell’organismo. In assenza di condizioni di riferimento le varie funzioni ritmiche, come la temperatura, l’escrezione di urina e la secrezione di cortisolo, si desincronizzano reciprocamente ed assumono cicli diversi da quello sonno-veglia. Per esempio la temperatura corporea in generale ha un ritmo di variazione circadiano con un massimo nel tardo pomeriggio ed un minimo nel primo mattino, durante il sonno. In condizioni normali il ritmo sonno veglia e quello della temperatura corporea sono sincronizzati. Tuttavia in assenza di condizioni di riferimento la maggior parte delle funzioni vegetative seguono cicli più lunghi di circa 25 ore. Quindi allorquando il ciclo sonno-veglia assume una durata superiore a questo valore, i vari ritmi si desincronizzano ed assumono periodicità diverse.

In passato, fino agli anni ’50, la teoria del sonno quale processo passivo ne ha condizionato le ricerche. Questa teoria sosteneva che il sonno fosse il risultato di una de-attivazione del sistema nervoso centrale per una insufficiente stimolazione esterna e pertanto il problema neurofisiologico principale era ritenuto quello dell’identificazione dei sistemi neuronali che mantenevano la veglia. Confrontata con la concezione semplicistica del sonno come condizione passiva, che rappresenta lo stadio più basso dello stato di vigilanza, l’idea del sonno che emerse negli anni ’50 e ’60 risultò rivoluzionaria. In quegli anni venne dimostrato che il sonno è un processo attivo, caratterizzato dal susseguirsi ciclico di diversi fenomeni psicofsiologici. Gli stadi del sonno notturno presentano una sequenza temporale relativamente prestabilita e vengono controllati da sistemi neurochimici diversi ma concatenati tra loro. 

Elettroencefalogramma e fasi del sonno

Il metodo principale per determinare nell’uomo gli stadi del sonno è costituito dall’elettroencefalogramma (EEG).

L’EEG è la registrazione delle oscillazioni dell’attività elettrica cerebrale. Più specificatamente, esso è una misura del flusso di corrente extracellulare generato dalla somma delle attività di un elevato numero di neuroni. Nell’analisi dell’elettroencefalogramma vengono prese in considerazione le proprietà temporali (cioè la frequenza delle onde che lo compongono) e spaziali dei tracciati EEG. Sebbene le caratteristiche dell’EEG siano estremamente complesse e l’ampiezza delle onde possa variare considerevolmente anche entro brevi intervalli di tempo, in generale si osservano poche bande di ampiezze e frequenze dominanti. Esse vengono denominate onde alfa (8-13 Hz), beta (13-30 Hz), delta (0,5-4 Hz), theta (4-7 Hz), sigma (12-15 Hz).

Le onde alfa sono generalmente associate a uno stato di veglia rilassata e si registrano meglio dai lobi parietali e occipitali. Le onde beta si osservano di norma a livello delle aree frontali, ma si possono registrare anche da altre regioni corticali, durante l’attività mentale intensa. Tra tutte le onde elettroencefalografiche sono quelle che hanno l’ampiezza minima. Le onde delta e theta compaiono durante il sonno dell’adulto normale e sono quelle di maggiore ampiezza. Gli stadi 1-4 del sonno a onde lente sono caratterizzati da un’attività EEG di frequenza progressivamente più lenta e di voltaggio progressivamente crescente e corrispondono a livelli di sonno sempre più profondo. Quando una persona si addormenta l’EEG passa attraverso gli stadi 1-4 del sonno a onde lente nell’arco di 30-45 minuti poi ripercorre i medesimi stadi ma in ordine inverso nel medesimo tempo. Durante il sonno a onde lente i muscoli sono rilassati ma l’attività somatica non è del tutto assente, predomina l’attività parasimpatica. La frequenza cardiaca e la pressione sanguigna diminuiscono e la motilità intestinale aumenta. La soglia per il risveglio del sonno a onde lente è inversamente proporzionale alla frequenza delle onde EEG; perciò lo stadio 4 a onde delta è il più difficile da interrompere.

Dopo circa 90 minuti dall’inizio del sonno si verificano bruscamente numerose modificazioni biologiche. L’EEG diviene desincronizzato, con attività rapida di basso voltaggio, simile ma non identica, a quella dello stato di veglia. Per tali ragioni questo tipo di sonno è stato variamente denominato: sonno paradosso, sonno attivo e sonno desincronizzato. Le registrazioni eseguite sugli animali da esperimento, mediante elettrodi posti all’interno del sistema nervoso centrale, hanno dimostrato che, mentre l’attività corticale è desincronizzata, l’EEG dell’ippocampo presenta un elevato grado di sincronizzazione con una frequenza delle onde di circa 4-10 Hz (onde theta). A livello dell’ippocampo si osserva un ritmo theta anche durante lo stato di veglia. Questa complessa condizione di attività cerebrale si accompagna a una considerevole diminuzione del tono di tutti i muscoli del corpo ad eccezione di quelli che controllano i movimenti oculari, gli ossicini dell’orecchio medio e la respirazione. Il soggetto diventa improvvisamente incapace di controllare la temperatura corporea, che comincia ad abbassarsi in direzione di quella ambientale. Le variazioni della temperatura corporea costituiscono una delle manifestazioni del considerevole grado di soppressione del controllo simpatico che si verifica in questa fase del sonno; un’altra manifestazione è il considerevole grado di contrazione della pupilla (miosi). Questa riduzione delle capacità di regolazione omeostatica è una caratteristica fondamentale di questo stadio del sonno.

Nel 1957 W. Dement e N.Kleitman dimostrarono che durante il sonno con EEG desincronizzato sono presenti movimenti rapidi oculari (Rapid Eye Movements REM). Questo stadio di sonno attivo è pertanto denominato sonno REM. In realtà la maggior parte dei movimenti oculari che si hanno durante il sonno REM sono lenti e oscillanti; a questo sfondo di movimenti oculari si sovrappongono raffiche distinte di movimenti oculari rapidi. Questi movimenti rapidi degli occhi e la contrazione fasica dei muscoli dell’orecchio medio sono innescati da un’attività elettrica a raffica, che può venir registrata da diverse strutture del tronco dell’encefalo (regione dorso laterale del ponte, nuclei motori dei nervi oculomotore, trigemino e facciale), del talamo (corpo genicolato laterale) e delle cortecce visiva e uditive. Le onde monofasiche di forma appuntita che compongono questo tipo di attività elettrica si propagano dal ponte alle strutture più rostrali e sono state denominate punte ponto-genicolo-occipitali (PGO). Durante il sonno REM la soglia per il risveglio da parte degli stimoli provenienti dall’ambiente è aumentata; pertanto sulla base di questo criterio, il sonno REM risulta lo stadio più profondo del sonno. Molto importante è stato constatare che la maggior parte dei soggetti addormentati se svegliati durante il sonno REM riferisce che stava sognando (nel 74-95% dei casi).

Il sonno REM

Durante il sonno notturno tipico un adulto normale presenta periodi alterni di sonno REM e di sonno a onde lente (NREM); lo stadio REM si presenta a intervalli regolari, da quattro a sei volte per notte. Dopo il primo periodo REM, gli intervalli tra i successivi periodi di sonno REM si riducono gradualmente, mentre la durata degli episodi REM tende ad aumentare. Complessivamente la durata del sonno REM corrisponde a circa il 20-25% del tempo che un soggetto giovane adulto passa dormendo. Lo stadio 2 del sonno a onde lente occupa circa la metà del tempo totale di sonno, mentre gli stadi 3 e 4 del sonno a onde lente ne occupano circa il 15%. Gli stadi a onde lente più profondo (stadi3 e 4) compaiono principalmente nella prima metà del periodo di sonno. Gli stadi a onde lente più superficiale e i periodi più lunghi di sonno REM compaiono elettivamente nelle seconda metà del periodo di sonno e, quindi, nelle prime ore del mattino sono di norma caratterizzati da risvegli più frequenti. La privazione selettiva del sonno REM provoca un successivo prolungamento della durata delle sue fasi. L’effetto principale della privazione del sonno REM è costituito da una considerevole modificazione degli stadi del sonno che si instaura quando ai soggetti è consentito di dormire senza interruzione.

La riduzione del sonno REM per parecchie notti è seguita da un inizio più precoce e da un considerevole aumento della sua durata e della sua frequenza. Più prolungata è stata la privazione, maggiore e più lunga sarà la durata del successivo sonno REM. L’esistenza di un meccanismo attivo di compensazione che consente il recupero del sonno REM perso o soppresso suggerisce che questo tipo di sonno sia importante dal punto di vista fisiologico e conferma anche l’opinione corrente che i sogni soddisfano qualche importante necessità, per quanto il fine del sogno rimanga in larga misura da definire.

Differenze tra sonno REM e Non REM

Evidenze prodotte da studi più recenti, oggi suggeriscono di superare la dicotomia tra sonno REM e NREM, la quale si giustificava oltre che sulle sopradescritte differenze elettroencefalografiche anche sulla sperimentazione dell’attività onirica, fenomenologicamente attribuita alla fase REM. Nelle ricerche, infatti, si fa più genericamente riferimento all’attività mentale durante il sonno (Mental of Sleep Activity: MSA). Per quanto la psicofisiologia abbia individuato quella fase del sonno in cui è più probabile che un soggetto, se svegliato, racconti un sogno, supporre un preciso contesto generativo dell’esperienza onirica appare riduttivo. Supporrebbe infatti un isomorfismo tra cervello e mente, operando un determinismo per cui lo stato fisiologico del sonno viene considerata l’unica variabile che incide sulle caratteristiche dell’attività mentale durante il sonno.

E’ possibile cogliere anche le funzioni dell’attività onirica indipendentemente dal quadro fisiologico in cui si presentano. La letteratura in questo annovera alcuni modelli:

  • Sogno con funzione di riattivazione e consolidamento di elementi incontrati in precedenti esperienze di veglia;
  • Sogno con funzione di regolazione emozionale, nei termini in cui le emozioni negative rappresentate nei sogni forniscono una simulazione della minaccia e, dunque, una prova generale delle situazioni stressanti;

Fu Foulkes nel 1962 a revisionare il paradigma dicotomico REM-NREM, fornendo dei risultati che misero in discussione l’equazione “sonno REM = sogno”. Indagando l’origine dei sogni, provocò risvegli sperimentali nelle fasi di transizione tra sonno NREM e REM e in tempi diversi dall’inizio di quest’ultimo, in linea con l’approccio psicofisiologico classico. Diversamente da quanto riscontrato negli studi precedenti, Foulkes raccolse resoconti dell’attività mentale durante il sonno anche in seguito a risvegli NREM e l’unica differenza tra le diverse ricerche consisteva nella formulazione della domanda posta ai soggetti sperimentali dopo il risveglio. Il gruppo di lavoro di Kleitman, per esempio, era solito domandare “hai sognato?”, domanda che Foulkes ha sostituito con “stavi pensando qualcosa?”. I risultati ottenuti confermarono l’intuizione dell’Autore per cui alla domanda seguirono più frequentemente risposte affermative in seguito a risvegli NREM.  La dicotomia tra REM e NREM iniziò così a essere meno marcata e molti autori concordarono sul fatto che tra l’attività mentale durante il sonno REM e quella raccolta negli altri stadi del sonno (NREM) vi siano solo differenze qualitative: la prima, infatti, rispetto alla seconda, è più ricca di contenuti visivi irreali e vivaci, e quindi più vicina al concetto comune di sogno. Quello che avviene in senso fisiologico e fenomenologico conferma che il sonno svolge l’importante funzione di elaborazione dell’esperienza oltre a consentire la conservazione dell’energia, la regolazione della temperatura corporea e le funzioni immunitarie.

La medicina del sonno ad oggi produce evidenze tese a mostrare il ruolo svolto dal sonno nella protezione della salute psicofisica. Lo si è visto per esempio anche in alcuni studi che hanno mostrato recentemente come nel sonno si possa identificare un marcatore per la malattia di Alzheimer

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[/tab][tab title =”Revisione Scientifica”]Dr. Federico Baranzini [/tab][tab title =”Immagine”]revivelifeclinic.com [/tab][/tabs]

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Psicoterapeuta in formazione Sistemico Relazionale, è laureata in Psicologia Clinica e di Comunità all’Università “La Sapienza” di Roma. E’ impegnata in attività cliniche e di ricerca sulla Prevenzione del Suicidio, i Disturbi dell’Umore e i Disturbi del Sonno. Collabora con MenteeCervello.it sin dalla prima ora.
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